“ Ti immagini se…”
Cantavano così i Modà non molti anni fa nel brano Se si potesse non morire. È una canzone molto simile ad un sogno ad occhi aperti, in cui si prova ad immaginare, ad azzardare speranze, come quando d’estate, guardando le stelle cadenti, si esprimono desideri. Uno più di tutti: la felicità.
Cosa desiderare oggi? Quale felicità in cui sperare ad occhi chiusi, come quando si soffiano le candeline della torta di compleanno?
Forse di nascere ogni mese, come dice ancora Kekko dei Modà, per risentire la dolcezza di una madre e un padre, dormire al buio senza più paure?
Perché tutti prima o poi arriviamo ad un limite in cui sentiamo il bisogno di ripartire da zero, ricominciare da capo. Quando i problemi sono tanti, la tensione sale e ci sentiamo oppressi. E vorremmo tornare bambini, non avere pensieri, sentirci cullati, sentirci protetti. O forse vorremmo semplicemente rivedere la mamma o il papà o tutti e due. Soprattutto se la vita ce li ha tolti troppo presto. Perché con quei loro occhi pieni d’amore e sempre vigili su di noi, anche il buio, che sembrava così brutto e nero nella nostra cameretta, faceva meno paura.
In fondo è questa la forma di felicità più gettonata: avere un amore che si preoccupi per noi. E avere tempo. Tempo per accorgerci di quell’amore, per trovarlo, per viverlo a sufficienza. E desideriamo che quell’amore sia invincibile, che basti da solo contro tutto quello che potrà capitarci nella vita. I soldi che non bastano, il lavoro sempre più precario, le ingiustizie sociali.
E se anche i baci si potessero mangiare ci sarebbe un po’ più amore e meno fame e non avremmo neanche il tempo di soffrire.
In un’altra strofa della canzone i Modà azzardano ancora un sogno: che l’amore sazi non solo il corpo ma anche lo spirito. Sognano che l’amore basti a riempire i nostri vuoti (non quelli allo stomaco), che copra le crepe della nostra anima, quelle ferite che possono mandare al tappeto il nostro cuore. E se questo davvero bastasse, non avremmo neanche il tempo di soffrire, di farci abbattere dalle difficoltà. Perché, anche se immersi sotto una tempesta incessante, basterebbe fissare lo sguardo negli occhi di chi amiamo e trovarci un porto sicuro, per continuare fiduciosamente a remare. Saremmo davvero invincibili. Se non fosse per un fatto. Una “seccatura” non trascurabile e inevitabile.
Nessuno di noi, si sa, è eterno. Non ci è dato sapere se questo sia giusto o sbagliato. Possiamo solo fare tesoro del tempo che abbiamo. Non sprecarlo. Non nel senso di tenerlo chiuso come i risparmi dentro il salvadanaio. Anzi, dovremmo spenderlo il più possibile. Vivere con autenticità. L’autenticità non è un valore fisso, un metro di misura per tutti. Ognuno deve trovare la propria. Sapere di averla trovata vuol dire essere riusciti ad essere noi stessi.
Ma resta sempre quella fastidiosa seccatura, che non si sa quando busserà alla nostra porta. Più volte Kekko ripete, quasi ad esorcizzare la paura della fine Se si potesse non morire… consapevole che questo, purtroppo, è un destino comune. Ma, nel frattempo, azzarda un ultimo desiderio.
Se potessi camminare verso il cielo ad occhi chiusi, consapevole che non si smette mai di respirare, cambierebbero le cose.
Cos’è che cambierebbe esattamente? Il nostro modo di pensare. Forse non è davvero tutto solo “qui e ora”. Forse davvero non siamo solo il nostro corpo. Forse davvero non smettiamo di respirare, nonostante le apparenze. E nonostante sembra che la morte, quella fastidiosa seccatura, l’abbia vinta, forse, avremo ancora dei respiri da fare, per noi e soprattutto per gli altri, da qualche parte.
È una scommessa. Una verità nella quale è difficile credere con tutto il cuore per tutta la vita. Come fare se non attraverso la Fede ?
Forse se n’è reso conto anche Kekko, mentre cantava se si potesse regalare un po’ di fede a chi non crede più nel bene. Forse la chiave di tutto è davvero la FIDUCIA. Una fiducia che non è del mondo. Se si potesse misurare secondo i parametri umani più sofisticati, sarebbe ancora piccola e imperfetta. Si tratta di una fiducia inesprimibile, incalcolabile. Forse per questo, per come la vedo io, è il dono più grande. Non a caso Kekko dice regalare un po’ di fede. Non è qualcosa che acquisiamo come la conoscenza o una proprietà. È un dono che ci viene fatto a prescindere. Sta a noi custodirlo nel tempo. E che cos’è un regalo se non un modo per dire “ è per te. Ti voglio bene ” ? Quale garanzia più grande di un “ ti voglio bene ” detto all’apice del dolore, dal Legno di Croce? Se un dono, Quel Dono, è il segno che siamo amati, pensati, seguiti da Lontano e da dentro il nostro cuore, allora, forse, potremmo (e dovremmo) davvero dormire al buio senza più paure.
Lorelay Lo Piano